Vestirsi con stile rispettando l’ambiente non è solo un trend del momento, bensì sempre di più una dichiarazione di impegno verso l’ecosostenibilità e la riduzione di risorse e consumi in quella che ad oggi risulta la seconda industria più inquinante al mondo.
Nell’ultimo decennio l’industria della moda ha visto spopolare il cosiddetto fast fashion, ovvero un modello di business caratterizzato dal ciclo di produzione rapido per stare al passo con il costante cambiamento delle collezioni e delle tendenze, contribuendo a sollevare molti interrogativi circa la sostenibilità dell’industria della moda.
La sensibilità ambientale è sempre più in crescita ed è qui che entra in gioco il tema importantissimo dell’economia circolare nella moda, o più in generale dell’economia circolare nel settore abbigliamento. La frenesia dei consumi e l’incessante produzione di nuovi capi hanno portato inevitabilmente a un aumento significativo dei rifiuti e sprechi nell’industria tessile e questa consapevolezza sull’impatto che ha sull’ambiente sta spingendo sempre più consumatori a riflettere sui propri acquisti e scegliere alternative più sostenibili: la moda sostenibile è diventata una risposta tangibile a questa preoccupazione.
Adottare pratiche legate alla moda sostenibile come l’uso di materiali riciclati e promuovere capi second hand rappresentano un cambiamento significativo verso un nuovo modo di fare acquisti, un vero e proprio mentalità di consumo più consapevole. Questo sta spingendo molti brand e fornitori dell’industria tessile a ridefinire i propri piani strategici. Quella della moda circolare infatti è un nuovo business model economico: vediamo quindi cos’è, come funziona e come la normativa nell’industria tessile sta evolvendo.
Moda circolare, cos'è?
La moda circolare si basa sull’idea di creare un ciclo continuo di produzione, consumo e recycling: massimizzare la durata di vita dei materiali, ridurre gli sprechi e promuovere il riciclo sono i tre pilastri principali. Grazie a questo sistema di economia circolare è possibile mantenere il valore dei capi di abbigliamento ed evitare il più possibile che diventino rifiuti. La frazione di scarto dell’industria tessile è tale da poter riflettere concretamente su come donare loro una nuova vita utile. Questa catena può avvenire sia con scarti pre-consumo che post-consumo (dismessi dopo l’uso) perché anche gli scarti e i rifiuti di produzione possono ottenere una nuova vita, generando così infinite opportunità di utilizzo.
L’approccio tradizionale (l’economia lineare) basato sulla produzione di massa, tipica nelle catene di fast-fashion, e il consumo eccessivo, sta cedendo il passo a un modello di moda green. La transizione verso una moda circolare è evidente non solo nei brand di nicchia che hanno fatto della sostenibilità il loro “marchio di fabbrica”, ma anche nelle grandi multinazionali che stanno riconsiderando le loro catene di approvvigionamento e adottando pratiche più responsabili ed eticamente corrette. La ricerca di alternative sostenibili si estende oltre la produzione di abbigliamento, coinvolgendo anche il modo in cui le aziende gestiscono i loro business. La trasparenza aziendale, la responsabilità sociale e l’impegno verso pratiche etiche sono diventati criteri fondamentali per il successo e la reputazione di un brand.
Cosa si intende per Moda Sostenibile?
Per moda sostenibile si intende un concetto più ampio, che comprende non solo le eventuali riduzioni di sprechi ed emissioni di carbonio o l’uso delle risorse in modo responsabile per l’ambiente, ma pone l’attenzione anche agli aspetti etici e sociali.
Si tratta di un approccio che non solo rispetta l’ambiente, ma pone al centro delle sue pratiche gli aspetti etici ed economici sul luogo di lavoro presso tutti i dipartimenti della supply chain. Dall’inizio alla fine del processo: dal concept alla produzione, dalla distribuzione alla vendita, coinvolgendo tutti gli attori della filiera e garantendo condizioni di lavoro etiche e dignitose. Non è infatti raro che molte fabbriche di manifattura tessile con sede extra-europea (tipicamente in paesi come la Cina, l’India e il Bangladesh) che riforniscono le catene di fast fashion sfruttano i lavoratori, spesso sono costretti a lunghe ore di lavoro senza adeguate condizioni di sicurezza e trattamenti economici non dignitosi.
Etica e sostenibilità sono quindi gli elementi su cui ad oggi, sia i brand di moda che i consumatori per l’ambiente, pongono maggiore attenzione.
Tuttavia, capire se un prodotto è realmente eco friendly non è un’impresa da poco: sono molte infatti le aziende che utilizzano termini come “ecologico” o “sostenibile” senza un reale impegno verso pratiche effettivamente ecologiche. Questo fenomeno si chiama greenwashing, che nel tempo è diventata una vera e propria strategia di marketing ingannevole: che con lo scopo di sfruttare la crescente preoccupazione consumatori alle tematiche ambientali, dichiarano i loro prodotti green e sostenibili senza un reale e concreto impegno a fronte.
Trasparenza e onestà da parte delle aziende sono essenziali per il funzionamento di un’economia circolare non solo per comunicare tali valori e impegni, ma anche per dimostrarlo concretamente ai consumatori.
Per questo, a tutela del consumatore, ci vengono in aiuto due elementi cruciali:
- Le nuove normative, sempre più sensibili alla tematica. Recentemente si è parlato della legge ESPR, acronimo di Ecodesign for Sustainable Products Regulation, che partendo dall’Ue strategy for sustainable and circular textiles propone la regolamentazione delle etichette nel settore dell’abbigliamento. Il suo obiettivo nasce proprio dal necessario bisogno di aiutare i consumatori a rispondere a domande tipo “Come è possibile riconoscere i capi di abbigliamento effettivamente green?” o ancora “Come fare a non farsi ingannare dai brand che mettono in campo il greenwashing?”. La soluzione quindi proposta nell’ESPR è l’introduzione di un passaporto digitale per prodotti (DPP), ossia un’etichetta che permette ai consumatori di conoscere tutto il processo produttivo e le performance ambientali di uno specifico indumento, ma anche alle autorità a intercettare immediatamente contraffazioni o procedure illegali o immorali. Oltre all’industria tessile, in settori come quello farmaceutico e agroalimentare è importante per identificare eventuali falle nella catena di approvvigionamento che possono compromettere la vita dei consumatori: proprio per questo è stato anche istituito il bilancio di sostenibilità obbligatorio, un documento che comunica la sostenibilità ambientale, sociale e di governance (report ESG).
- La Blockchain è una tecnologia alleata della tracciabilità. Garantire trasparenza nella supply chain anche nel settore della moda è sempre più concretizzabile proprio grazie a tecnologie avanzate come questa. I consumatori possono avere accesso a informazioni dettagliate sullo storico di ogni capo di abbigliamento, verificare la provenienza delle materie prime e seguire tutto il percorso della produzione e della distribuzione, aiutando loro a prendere decisioni informate, distinguendo facilmente le aziende autenticamente impegnate nella sostenibilità.
Grazie alla nuova regolamentazione europea e le nuove tecnologie a supporto come la blockchain per la sostenibilità trasparente e certificata, è possibile acquistare capi di moda che rispettano sia l’ambiente che le persone, permettendo anche ai consumatori di fare scelte di acquisto più consapevoli e climate-friendly.
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Aziende come Deply offrono piattaforme per la gestione della catena produttiva tessile, moda e manifatturiera. Deply attualmente sta implementando soluzioni volte ad integrare il Passaporto Digitale di Prodotto (DPP) nei loro servizi.
Queste iniziative mirano a guidare le aziende verso la conformità e la trasparenza richieste dalla nuova normativa europea, nonché monitorare e certificare in modo efficace le proprie pratiche sostenibili, rispondendo anche alle crescenti esigenze e aspettative dei consumatori!
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